«Mi chiamo Ascanio Celestini, figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera. Mio padre rimette a posto i mobili, mobili vecchi o antichi è nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone in bottega a San Lorenzo. Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia e a quel tempo ballava il liscio».
Ascanio Celestini è considerato uno dei rappresentanti della seconda generazione del teatro di narrazione, fatto di storie quotidiane e di riflessioni sulla storia del nostro tempo. Ogni lavoro è preceduto, come si conviene ad un moderno cantastorie, da un lavoro di raccolta di materiali. Questi “appunti” nascono nel dicembre 2005 dall’incontro di Ascanio Celestini con gli operatori del call center più grande d’Italia, l’Atesia: «Tanti appunti che non vengono mai raccontati tutti insieme nella stessa replica. Appunti che cambiano e ai quali si affiancano le canzoni sul ladro che ruba nella casa di un altro ladro, sul disertore morto che non può fermarsi al semaforo rosso, sui partigiani che vanno a ritirare la pensione, sull’amore impossibile degli innamorati cardiopatici, sulla rivoluzione che inizia tra cinque minuti, sul bruco che vive nel buco…». La precarietà è la condizione che accomuna pressoché tutti i lavoratori, organizzati in un collettivo che cerca di sondare le pieghe della legge Biagi, allo scopo di comprendere la validità dei contratti sottoscritti.
Queste vite a progetto rimangono tali negli anni, nonostante i cambi di governo e le sentenze legislative, e Celestini segue e aggiorna il proprio lavoro con l’evoluzione della vicenda dei lavoratori Atesia, tristemente simile a quella di migliaia di altri.