La grande pateticità amorosa e la magia rituale…

Sullo sfondo bianco di una stanza segreta, una donna sempre più angosciata, entra ed esce dallo spazio nero che la contiene. La sua duplice natura, l’essere esteriore e la creatura interiore, si apre all’esplorazione. Nella ricostruzione che segue il dramma, questa donna mostrerà a volte un aspetto, a volte un altro. Saranno due le interpreti, presenze diverse, come due attributi necessari alla rinascita del corpo. Questo sdoppiamento intimo e profondo incarna la costruzione di un percorso che ridisegna il corpo e lo spazio, nel corso del tempo che lo separa dal dramma.

Quale sarà la nuova terra del corpo esiliato dal proprio amore? Queste presenze “post-tragiche” non sono “moderne”. Non si perdono nel vuoto, nell’impossibilità di rigenerarsi, in un’incapacità di azione o di ripetizioni senza alcun esito. Se passano attraverso incantesimi vocali o litanie gestuali, è per fare del loro spazio un luogo rituale, come per essere loro stesse le sacerdotesse del post-dramma. La forza che torna a vivere nel corpo afflitto”.

My Flowers vorrebbe esprimere nel contempo la grande pateticità amorosa, al limite del kitsch, e la magia rituale, puerile e spaventosa, fino alla comicità. Come se l’opera fosse una processione verso la costruzione assurda dell’immagine di una santa, una specie di bambola voodoo che ripulisce le donne dalle loro disavventure e restituisce loro una memoria dolce ed indimenticabile di ciò che è stato. Indubbiamente, in questo desiderio è presente qualcosa dell’Italia del Sud: di ciò che Carmelo Bene definiva “il sud del sud dei santi”, del Mezzogiorno come territorio saturo di arcaicità ma soprattutto popolato da figure che fanno realmente, e magicamente, ritornare ciò che si credeva finito e sfuggito, una volta che gli spettacoli sono giunti al termine, le chiese sono state chiuse o le immagini sono state spente. Mostrare, far percepire la persistenza della figura tragica in sé, di per sé stessa: Didone abbandonata, Armida abbandonata, “abbandonata” e, di conseguenza, presente e come santificata, diventata essa stessa la santa della fine dell’amore e la santa dell’aiuto o dell’assistenza: una “Nostra Signora dell’Aiuto”, in modo buffo e nobile”.

Valeria Apicella

>La scheda dello spettacolo

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