I personaggi dei miei spettacoli sono sempre stati dei “non riconciliati”, tutti quelli che ho portato in scena, dall’allevatore di cavalli Michele Kohlhaas fino a quest’ultimo Brigante Carmine Crocco, dal Peer Gynt di Ibsen al Peter Schlemil di Von Chamisso, appartengono tutti a questa categoria esistenziale. La loro estraneità rispetto alla società e al tempo in cui si snoda la loro esistenza deriva da una speciale condizione di irriducibilità alle Norme e alle convenzioni. Sono esseri anti-eroici, non destinati a calcare la grande storia, ma che pure, per la loro coerenza a principi e sentimenti non svendibili, non patteggiabili, di fatto segnano la storia col loro passaggio.
È chiaro che la storia non può che eliminarli, sono tutte figure destinate alla sconfitta, e per questo forse le amo. essi racchiudono in sè l’esemplarità di un conflitto che non può che conflagrare con gli statuti della società intorno. Vivono, questi personaggi, in un perenne stato di disequilibrio, non c’è posto per loro, ma un posto pure lo cercano, lo vorrebbero, aspirano ad una giustizia umana e sociale, a sentirsi, non banditi ed esiliati, ma accolti e compresi. questo non avviene e da qui si genera la loro terribilità. Il Mearseault di Camus è forse il non riconciliato per eccellenza, la sua estraneità è totale, proprio nella sua ingenuità. quando l’ho portato in scena , interpretandolo, immaginato nell’ultima notte prima dell’esecuzione, la scena era una zattera di tavole sconnesse appese a quattro tiranti che la sospendevano da terra, era la mia cella cosparsa di sabbia, su cui mi muovevo in perenne disequilibrio, la tavola ondeggiava, il tavolino e la sedia dondolavano. questa la condizione di colui che si scopre straniero nella sua stessa patria: non ha più la terra ferma sotto i piedi, è sempre in procinto di cadere, di perdersi. «Un uomo che dice sempre la verità» questa è la devianza sociale del personaggio di Camus, e , per questa sua irriducibile essenza, sarà destinato alla ghigliottina, come Kohlhaas al cappio per la sua intransigente fiducia nella giustizia, come Carmine Crocco al carcere per la sua fame di dignità.
Non sono personaggi belli e aureolati, sono esseri pieni di vita, quindi anche oscuri, ambigui, a volte efferati, spesso incapaci di mediazioni necessarie. Mi sono chiesto se la mia adesione a questi personaggi sia anche una identificazione con il loro statuto esistenziale. forse sì, in parte, forse li amo per la carica teatrale che possiedono le loro storie, per i conflitti irrisolvibili di cui sono portatori. Per la loro inquietudine che trasposta in scena inquieta anche gli spettatori. non appartengono questi personaggi al cosiddetto teatro civile, non sono innocenti le cui vicende generano indignazione, no, le loro esistenze inquietano, spaventano, turbano. È questo che chiedo al teatro.
Marco Baliani